10 curiosità sull’antica Roma

Roma antica! La storia di un dominio che sembrava non dover finire mai!

Quanta gloria. Conquiste, battaglie, personaggi leggendari e un’architettura che resiste ancora oggi.
Una civiltà che appassiona tutti ma dietro i magnifici palazzi e la potenza dell’Impero si nascondevano alcune curiosità poco conosciute, leggiamo l’articolo e scopriamole insieme.

10 curiosità sull'antica Roma

1) La toga viola

Quella romana era una società decisamente classista. Schiavi, poveri e ricchi dovevano essere riconoscibili anche attraverso il vestiario. La toga poteva essere indossata solo da chi aveva la cittadinanza romana, ma c’erano alcune varianti non accessibili a tutti. La più prestigiosa era la toga viola, che era esclusiva degli imperatori e dei romani d’alto rango.

I motivi di tale esclusività sono fondamentalmente due. Il viola era associato alla gloria, al potere e alla regalità. Un cittadino comune non poteva indossare un colore tanto importante perché spettava solo ai ranghi più alti dell’aristocrazia romana.

Oltre a quello sociale vi era anche il motivo economico. La toga diventava viola grazie alla cosiddetta porpora di Tiro, una tintura originaria della fenicia che richiedeva un processo di creazione lungo e costoso.
La materia prima era il Murex brandaris, il murice comune. Da questo mollusco, i fenici estraevano una particolare ghiandola mucosa che veniva lasciata a mollo per dieci giorni in acqua di mare costantemente riscaldata. Durante questa lavorazione rilasciava un’escrezione incolore. Questo liquido, poi, diventava porpora attraverso una reazione chimica generata dall’esposizione alla luce solare.

Un solo murice, però, produceva però solo poche gocce. Come ci tramanda Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, per produrre 1,4 grammi di tintura viola, che era il minimo necessario per colorare il bordo di un vestito, servivano circa 12.000 molluschi. Questo processo di lavorazione tanto complesso e costoso rendeva la porpora di Tiro più cara anche dell’oro e dell’argento.

2) Lo ius vendendi e l’emancipatio

Il figlio poteva emanciparsi dal padre?

Sì era possibile, ma soltanto attraverso lo ius vendendi, ossia il diritto che aveva il pater familias di cedere in affitto un figlio come schiavo per un periodo di tempo necessariamente prestabilito. Finito quel periodo, l’affittuario era obbligato a riconsegnare il ragazzo al padre; il quale poteva affittarlo nuovamente.

Per il diritto romano il terzo affitto era una manummissio, ovvero l’atto con cui i proprietari concedevano la libertà agli schiavi. In questa situazione, il ragazzo aveva la possibilità di procedere con l’emancipatio, una norma che in pratica estingueva la patria potestà del padre e liberava il figlio.

Questa, chiamiamola, regola del tre non era cumulativa. I padri che potevano dunque affittare anche gli altri figli per massimo due volte.

3) Comportamento in caso di “corna”

Parliamo di sesso e vita coniugale, più nello specifico di adulterio. I romani avevano dei costumi molto liberi. L’adulterio era una questione di poco conto solo se a commetterlo era l’uomo. Quando invece il marito sorprendeva la moglie con un altro doveva chiudere a chiave i due amanti, per evitare che scappassero, e radunare più testimoni possibili testimoni per certificare il tradimento.

Successivamente si procedeva ad una specie di interrogatorio durante il quale bisognava scoprire quanti più dettagli possibili: da quanto tempo andava avanti la relazione, quando era iniziata, dove e come avevano consumato i rapporti, chi era l’amante e così via.

Solo alla fine si procedeva con il divorzio, ma il marito tradito poteva anche vendicare l’affronto uccidendo l’amante della moglie. Se era un uomo non libero, nessun problema, perché la legge tutelava solo chi aveva la cittadinanza romana. Se, però, si trattava di un romano, bisognava interpellare il suocero, perché, in qualità di pater familias, era l’unico che poteva uccidere sua figlia e i suoi eventuali amanti, qualunque fosse la loro estrazione sociale.

4) Prostitute bionde

La prima delle 10 curiosità sull’antica Roma riguardava la toga, che però era un indumento esclusivamente maschile. Anche le donne però erano tenute ad osservare delle regole per quanto riguarda l’abbigliamento, soprattutto le prostitute.

Il meretricio era una pratica legale e regolamentata dallo stato. Chi voleva avventurarsi in quel mestiere aveva l’obbligo di registrarsi presso un magistrato e ottenere la licentia stupri, una sorta di abilitazione alla professione, ma, per legge, doveva anche tingersi i capelli di biondo.

Perché? La maggior parte delle donne romane erano more o castane, il colore biondo veniva collegato ai popoli barbari, ovvero a quei popoli culturalmente inferiori. Le prostitute non avevano alcun diritto e dovevano tingersi i capelli di biondo sia per rimarcare il loro basso status sociale, sia per evitare che venissero scambiate per delle romane rispettabili.

La legge che regolamentava questa usanza però cadde in disuso quando le donne romane iniziarono a invidiare il look appariscente delle prostitute e presero a tingersi di biondo anche loro. Da quel momento alle prostitute non restò che ripiegare su colori più accesi come il blu o l’arancione.

10 curiosità sull’antica Roma

5) La scarsa igiene dei bagni pubblici

L’antica Roma era piena di bagni pubblici, se ne stimano all’incirca 140. Qui i romani socializzavano proprio mentre espletavano i propri bisogni, non c’erano porte, si faceva tutto insieme agli altri. Vi erano addirittura degli schiavi il cui compito era scaldare la seduta dei proprio padroni. I bagni erano collegati alla famosa Cloaca Maxima, visibile ancora oggi, uno dei primi sistemi fognari, e lì vi finivano tutti gli escrementi. Nonostante quest’accortezza però non era prevista nessun’altra forma di pulizia e l’igiene dei locali lasciava molto a desiderare.

Scarafaggi, pulci e pidocchi erano ovunque. Nelle fogne scorrazzavano topi e serpenti che risalivano e mordevano i romani proprio lì, nel sedere o peggio ancora sui genitali!

I nostri illustri antenati si pulivano con il tersorium, un bastone con sopra una spugna che veniva utilizzato a mo’ di carta igienica, con la grande differenza che non era monouso. Lo si utilizzava anche come scopino e lo si puliva in un secchio con acqua e aceto, che di certo non bastava a sanificarlo e renderlo più igienico per i successivi utilizzi.

6) Il business dell’urina.

Ma i bagni pubblici erano anche i principali fornitori di uno dei beni più commerciati di Roma:l’urina.
L’ammoniaca al suo interno, infatti, veniva impiegata per molteplici scopi. Come lo sbiancamento dei denti, la concia delle pelli e il bucato. Nei bagni pubblici, questo “bene prezioso” veniva raccolto e distribuito agli esercenti, o, in altri casi, i fullones, l’equivalente romano delle lavanderie, se la andavano a prendere da soli. Con l’arrivo di Vespasiano le cose cambiarono. L’imperatore pensò bene di introdurre la centesima venalium…Una tassa proprio sull’urina.

Si racconta che una volta suo figlio Tito lo rimproverò per il modo abbastanza disgustoso con cui si stava arricchendo. L’imperatore, allora, prese una moneta d’oro, gliela fece annusare e chiese se puzzasse. Tito rispose di no e Vespasiano disse: Eppure viene dall’urina! Secondo altre fonti, invece, pronunciò la celebre frase che poi sarebbe arrivata fino a noi, una delle espressioni in latino più conosciute: Pecunia non olet, il denaro non puzza.

7) Il diritto di vita e di morte sui figli

La storia di Roma come sappiamo dura circa quattordici secoli. Naturalmente con lo scorrere del tempo alcune cose sono cambiate. Agli inizi però la figura del pater familias era un’autorità insindacabile che aveva un controllo praticamente assoluto su tutta la sua famiglia. Nell’antica Grecia la patria potestà si esauriva al raggiungimento della maggiore età dei figli, a Roma invece non era prevista alcuna scadenza e prevedeva una serie di diritti molto particolari.

Con lo ius exponendi, un padre poteva abbandonare in un luogo pubblico una figlia femmina non primogenita o un figlio maschio nato deforme. Con lo ius noxae dandi, se un figlio commetteva un illecito, come un furto o un omicidio, il pater familias poteva consegnare il figlio autore del delitto alla famiglia offesa.

Poi c’erano lo ius vendendi– di cui abbiamo parlato sopra, nella seconda delle nostre 10 curiosità sull’antica Roma – e lo ius vitae necisque. Questo era un vero e proprio diritto di vita e di morte sui figli e si basava sul principio che la progenie di un romano fosse considerata come una sua proprietà. Il pater familias poteva fare di tutto, anche uccidere un membro della sua famiglia senza subire alcuna conseguenza morale o penale.

Lo ius vitae necisque, però, non era esteso anche alla moglie, perché, come si è detto, la patria potestà durava per sempre e le donne non si emancipavano dal padre nemmeno dopo il matrimonio; quindi, se un padre lo avesse voluto, poteva scavalcare l’autorità del genero e uccidere la figlia.

Tutte queste leggi erano incluse nelle XII tavole, il primo codice di diritto pubblico e diritto privato di Roma, composto fra il 451 e il 450 a.C., ma già nel I secolo a.C. si decise di porre un freno allo strapotere del pater familias e di lasciare l’impunità solo se un padre uccideva un figlio che aveva commesso un crimine imperdonabile.

8) La poena cullei

Fra soprusi e vendite della progenie non risulta strano che il rapporto padre-figlio potesse culminare in un parricidio, considerato un crimine contro natura, per il quale la legge romana prevedeva la poena cullei, la pena del sacco: un’altra delle nostre 10 curiosità sull’antica Roma

Il criminale, incappucciato perché non degno di esser nato e aver visto la luce, veniva portato in prigione per essere picchiato con delle verghe color sangue. I gendarmi, poi, lo costringevano a marciare fino al Tevere, dove lo chiudevano in un sacco insieme a un gallo, un cane, una scimmia e una vipera, e lo buttavano in acqua, affinché morisse annegato o per colpa degli animali.

La scelta del bestiario non era casuale. Il gallo era un esemplare di cappone, che, come ci tramanda Plinio il Vecchio, secondo la concezione dell’epoca, era “un animale talmente battagliero da terrorizzare persino i leoni”.

Il cane, invece, era considerato un essere immondo, associabile all’infamia del parricida. Lo stesso discorso valeva anche per la scimmia, una sorta di brutta copia dell’uomo, che, però, finiva nel sacco anche per un motivo allegorico, perché si credeva che fosse solita abbracciare i suoi figli fino a soffocarli.

Quanto alla vipera, dice Plinio il Vecchio, un esemplare femmina riusciva a partorire solo un figlio al giorno e accadeva che, per uscire prima, gli altri uccidessero la madre lacerandole il fianco.

9) Il “cannibalismo” dei primi cristiani

Fra le tante motivazioni politiche che resero invisi i cristiani ai romani (prime fra tutte: il loro rifiuto al servizio militare e la volontà di abolire la schiavitù) ce n’è una che è quantomeno strana.

I romani fraintesero il rito dell’eucaristia, e scambiarono tutta la metafora del corpo e del sangue di Cristo per un autentico atto di cannibalismo.

10) I rimedi a base di… gladiatori

Lo stesso grado di schizzinosità, se così la possiamo definire, non si applicava ad alcune parti del corpo di un gladiatore, che, secondo la medicina dell’epoca, avevano proprietà curative e afrodisiache. In particolare, il fegato e il sangue dei gladiatori erano ottimi rimedi per l’epilessia e, addirittura, dalla loro pelle si ottenevano creme per il viso e unguenti miracolosi. quest’ultima è sicuramente la più raccapricciante delle nostre 10 curiosità sull’antica Roma

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Redazione

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