Inferno in carcere per i fratelli Bianchi

Inferno in carcere per i fratelli Bianchi. Ed è giusto così, perché anche in uno stato di diritto, per individui violenti e pericolosi come loro non dev’esserci pietà né compassione.

I bulli, che con un pestaggio tanto violento quanto vigliacco e infame uccisero massacrandolo di botte il povero Willi Monteiro Duarte, non se la stanno passando tanto bene in carcere. Niente più muscoli pompati con gli anabolizzanti da mostrare sui social, sguardi cattivi e minacciosi nelle foto o birrerie dove fare i malavitosi atteggiandosi a boss locali. Adesso per loro c’è solo il carcere.

Un carcere difficile, dove devono lottare ogni giorno ma stavolta davanti ai due non c’è un bravo ragazzo in terra da prendere a calci e pugni, ma gli altri detenuti, persone più dure e più cattive di due esaltati di paese. Stando alle intercettazioni registrate durante i loro colloqui in carcere, ci sarebbe chi ha sputato nel loro cibo, chi li ha minacciati e persino chi li ha insultati. Un vero e proprio incubo per i fratelli Bianchi, un incubo che si ripete ogni giorno, sempre uguale. E va bene così.

Sì va bene così, non dobbiamo dispiacerci per loro, o provare pietà e compassione. Se lo meritano! Se lo meritano perché sono dei criminali cresciuti nel mito della violenza e nell’idea della sopraffazione come mezzo per imporsi. Rappresentano la parte peggiore della nostra società: i criminali per scelta, per indole e per vocazione.

Volgari truffatori che vivevano spacciando droga ma soprattutto recuperando crediti per gli altri spacciatori, giravano con macchine costose e intanto truffavano lo stato intascando il reddito di cittadinanza. Feccia. Come la loro madre, spregevole, che si è lamentata del clamore suscitato dalla morte di Willy “Manco fosse morta la regina” ha detto.

A leggere i verbali e a guardare le loro facce strafottenti da trucidi bisogna fare appello a tutte le nostre convinzioni per respingere l’idea della pena di morte. Dobbiamo lottare contro noi stessi, ricordare i nostri valori civici, ricordare ogni attimo della nostra storia di occidentali umanisti per scacciare dalla nostra mente l’idea che per tipi così ci vorrebbe davvero la sedia elettrica. Sarebbe giusto, sicuramente, e vederli friggere fino alla morte ci restituirebbe l’idea di giustizia. Ma siamo l’Italia, siamo l’Europa e pur con tutti i nostri difetti dobbiamo proteggere la nostra contrarietà alle pene capitali.

Ma non possiamo neanche nascondere la rabbia che proviamo nei loro confronti e che trova sfogo sui social, dove sono stati coperti da 6 milioni di commenti offensivi e carichi d’odio. Una rabbia che non giustifichiamo ma che comprendiamo appieno.

Forse, la più grande umiliazione per loro sta nelle parole che la Repubblica Italiana ha riservato al suo giovane eroe, Willy, quando gli è stata conferita la medaglia d’oro al valore civile.

«Con eccezionale slancio altruistico e straordinaria determinazione, dando prova di spiccata sensibilità e di attenzione ai bisogni del prossimo, interveniva in difesa di un amico in difficoltà, cercando di favorire la soluzione pacifica di un’accesa discussione. Mentre si prodigava in questa sua meritoria azione di alto valore civico, veniva colpito da alcuni soggetti sopraggiunti che cominciavano ad infierire ripetutamente nei suoi confronti con inaudita violenza e continuavano a percuoterlo anche quando cadeva a terra privo di sensi, fino a fargli perdere tragicamente la vita. Luminoso esempio, anche per le giovani generazioni, di generosità, altruismo, coraggio e non comune senso civico, spinti fino all’estremo sacrificio.»

Parole che tracciano un solco profonda tra la loro vita e la vita di Willy, perché, come ha detto lo stesso Marco Bianchi al fratello durante un colloquio “Ci stanno i bravi e ci stanno quelli non bravi, le merde”. E in questa storia le merde sono loro.

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Redazione

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