Intervista a Giovanni Sollima

In uscita “Quinto Libello di Pezzi Tesotici”, la sua ultima raccolta di poesie. Abbiamo chiesto all’autore di parlarci di questo nuovo lavoro.

Era nell’aria. E adesso il Quinto libello di Giovanni Sollima c’è, al di sopra di ogni chiusura dei tempi, distanziamento sociale e clausura degli animi, pronto a offrirsi al confronto e al dialogo con la percezione sensibile del lettore. È come se le cose e i fenomeni si presentassero con un loro linguaggio dei sensi e una lingua estetica, di cui il poeta è cercatore partecipe nel solco evolutivo di un’ancestrale naturalezza e risonanza espressiva. Un dialogo interno sulla linea dei significati aggancia il tempo e ne prende coscienza, dando continuità, ricercate forme e diversificate traiettorie agli spazi dell’essere e dell’esserci.

Intervista a Giovanni Sollima

Caro Giovanni, è veramente un piacere poterti ospitare sui nostri spazi. Ti andrebbe di presentarti ai lettori che ancora non ti conoscono?

Sono uno psichiatra, che lavora in una Comunità terapeutico-riabilitativa nel territorio metropolitano di Catania. Mi occupo di arte ed espressività e sono coordinatore, all’interno di campi di applicazione psico-socio-riabilitativi, di laboratori di attività espressiva. Da sempre poeta, ho all’attivo diverse pubblicazioni dal 1994 ad oggi, in cui esco, per Controluna – Edizioni di poesia, col mio “Quinto libello di pezzi tesotici”. Nel frattempo non ho pubblicato solo poesia: sono autore di saggi e di una raccolta di raccontini, nonché coautore di un dialogo filosofico; ma sono, e nella sensibilità rimango, soprattutto poeta.

Medico psichiatra con specializzazioni in criminologia e igiene mentale dell’adolescenza. È la prima volta che ci capita di incontrare uno psichiatra. La tua formazione e la tua professione influiscono in qualche modo sulla tua poesia?

Certamente! E non può essere altrimenti. C’è un dialogo continuo e profondo e un mutuo scambio di esperienze e sensazioni tra la mia operatività quotidiana di medico e psichiatra, ma anche del mio impegno in quanto giudice onorario minorile, ed il mio sentire ed agire poetico.

In parole povere, qual è la sostanziale differenza, secondo te, tra uno scrittore e un poeta?

La più evidente differenza formale è che un poeta si esprime in versi, modernamente seguendo una propria musicalità di suoni e pause, un proprio ritmo interno. Nella sostanza il poeta è latore di un messaggio, che si mostra in un codice espressivo di contenuti sensibili ed esperienze di linguaggio e si compone nella sintesi lirica che le è propria. Uno scrittore ha tempi di reazione ed esecuzione diversi nel suo esprimersi in una prosa estesa, narrativa, storica o saggistica, ed è ben più portato all’analisi tematica.

Editori, media, scuola, gli stessi poeti: queste categorie hanno qualche responsabilità nel perché la poesia, al giorno d’oggi, viene letta così poco?

Viene letta poco perché al giorno d’oggi non c’è una sensibilità educata alla capacità percettiva e interpretativa estetica della realtà. C’è una scarsa educazione all’arte e alla lettura dell’armonia e dell’espressione del bello, pure con conseguente scarsa cura del nostro comune, immenso e privilegiato, patrimonio d’arte e lingua. Certo, ogni categoria ha la propria responsabilità in tal senso.

Dove trovi l’ispirazione per i tuoi versi?

Nell’esperienza quotidiana, nella vita introspettiva d’ogni momento, negli spazi dei sentimenti, nei colori delle sensazioni, nella natura, negli eventi di vita e negli stati d’animo, nel movimento di percezioni e pensieri.

La poesia può essere terapeutica e alleviare, almeno un po’, i mali della vita?

La poesia ha un valore terapeutico naturale. Ha una capacità ancestrale di legarsi con i sentimenti degli uomini e di toccare le corde più intime del proprio essere emozionale. In ambito terapeutico e riabilitativo viene usata per il suo alto potere evocativo e sublimativo. Si parla di poesia-terapia o psico-poetry.

In questo periodo abbiamo chiesto a tutti gli autori incontrati di raccontarci la loro “pandemia”. Com’è stato il tuo lockdown?

Per la professione che esercito è stato un periodo di particolare e speciale attenzione, ma normale. Mi sono regolarmente recato in Comunità, dove c’erano pazienti in isolamento preventivo che mi aspettavano e ancora di più avevano bisogno della mia presenza e di quella degli altri operatori. Devo dire che i pazienti ospiti sono stati eccezionali, perché hanno capito la peculiarità e la gravità del momento storico legato alla pandemia e la necessità di mettere in atto comportamenti e sacrifici condivisi. La tecnologia ci ha dato una mano davvero importante in questo difficile frangente, soprattutto grazie alla possibilità delle video-chiamate con i familiari. Nell’ultimo periodo questa situazione si sta ripetendo con maggiore rodaggio e consapevolezza nella speranza che tutto passi quanto prima. Professionalmente è stato, comunque, un periodo intenso e creativo e, come autore, non sono mancati momenti espressivi.

Come cambierà la società dopo il Covid-19?

La paura è che non cambi niente, ma non credo che possa essere così. Questo momento storico eccezionale, peculiarmente estremo, ci ha ulteriormente indicato il valore della solidarietà e dell’organizzazione sociale, l’interconnettività dei comportamenti umani, l’importanza di un progresso tecnologico condiviso. Vorrei che ci lasciasse la consapevolezza di un maggiore rispetto per la natura e cura per l’ambiente.

Facciamo un passo indietro: “La taverna di Alfa Ninnino”, una raccolta di racconti che hai pubblicato nel 2011. Ti va di dirci qualcosa su questo tuo lavoro?

È l’unica mia pubblicazione di prosa creativa. Si tratta di una raccolta sequenziale di dodici raccontini, per grandi e piccini, che hanno per protagonista un bimbo, Alfa Ninnino, e il suo mondo di crescita e scoperte, rappresentato dalla taverna. La taverna è un luogo specifico della casa di Ninnino e contemporaneamente tanti luoghi della rappresentazione. Da lì il bimbo parte nel suo approccio alla realtà che lo circonda, tutto un mondo nel quale nulla è banale e scontato. La raccolta di mini-racconti è pure concepita, come mezzo suggestivo e proiettivo, per essere utilizzata in ambito pedagogico e psicagogico.

Finalmente siamo arrivati a parlare del tuo libro: “Quinto libello di pezzi tesotici”. Presentacelo come vuoi.

Il “Quinto libello di pezzi tesotici” è la mia ultima raccolta pubblicata di poesie. È un progetto editoriale di poesia lirica, giunto al quinto appuntamento. I “pezzi tesotici” sono i singoli brani, i diversi momenti poetici della collezione proposta. Le liriche provengono tutte dalla raccolta cronologica madre, che è “Tesos”, mio termine originale, di risonanza classica, derivante dall’unione delle abbreviazioni “tes. os.”, tessuto osseo. Il “Primo libello” è stato pubblicato nel 1994; il “Quarto libello” nel 2011. La pubblicazione del “Quinto libello” è per me una ripresa del progetto “tesotico” e contemporaneamente un nuovo debutto.

Cosa vorresti che provasse un lettore leggendo il tuo libro?

Un senso di condivisione estetica; un movimento senso-percettivo di personalissima risonanza. E, forse, uno spazio lenitivo e promozionale di coscienza nella propria direttrice di cammino, nella propria visione del mondo.

Chi sono i tuoi poeti preferiti, quelli che maggiormente hanno influito sulla tua formazione?

I lirici greci, Dante, Leopardi, Montale.

Siamo alla fine ma prima di salutarti vogliamo farti un’ultima domanda: consiglia ai nostri lettori un libro che non sia il tuo, uno soltanto.

“Il guardiano del faro” di Henryk Sienkiewicz.

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