Il cinema come strumento filosofico?

L’origine e l’essenza prettamente tecnica del cinematografo Lumière, di cui i due fratelli erano perfettamente consapevoli, negli anni successivi, creò non pochi problemi nel dare una definizione di arte cinematografica.

Il cinema come strumento filosofico

Il nodo della questione sta proprio nella natura ancipite del cinema che fa del mezzo cinematografico una specie di Giano bifronte con una faccia rivolta alla scienza e alla tecnica e un’altra rivolta al mondo dell’arte. Nessuno, infatti, potrebbe mai negare al giorno d’oggi che alcuni cineasti, nel corso degli anni, abbiano realizzato opere d’arte, soprattutto intrise di un sostrato filosofico ricchissimo che niente potrebbe invidiare agli scritti di un filosofo, se solo si pensa al cinema di Ingmar Bergman con Il settimo sigillo tanto per citare un titolo importante tra i suoi film, al pubblico ben noti non solo per l’indiscutibile valenza estetica ma anche per la filosofia che sta alla base.  Nonostante anche in Italia siano proliferati molti studi e libri dedicati al rapporto tra cinema e filosofia, ai quali possiamo aggiungere molteplici iniziative culturali il cui scopo è condividere l’attuale stato della ricerca, a tutti gli effetti, è solo in tempi recenti che la discussione ha acquistato consistenza e profondità.

Il cinema come strumento filosofico

Per quasi mezzo secolo, infatti, ogni tentativo, per quanto sporadico, di affrontare il tema in modo adeguato è miseramente fallito di fronte al persistere un “duplice blocco culturale” (Curi, 2006, p. 177).

Il primo fattore che ha influito negativamente è secondo Umberto Curi una ricezione parziale e totalmente fuorviante della teoria critica sviluppata dalla scuola francofortese, intorno alla quale si erano consolidati diversi pregiudizi nei confronti del cinema poiché considerato come il più emblematico rappresentante tra i mass media  e sostanzialmente inquadrato in un’ottica di società capitalistica. Le cose non andavano certo meglio se si considerava il panorama generale della cultura filosofica italiana nel secondo dopoguerra che fu la prima a non aver capito alcune posizioni di Adorno e di Benjamin favorendo un’interpretazione unilaterale e fortemente ideologizzata della  teoria critica, specialmente per tutto ciò che riguarda i due media incarnanti, per antonomasia, la tecnologia al servizio della società capitalistica, cioè la pubblicità e soprattutto il cinema anche in maniera maggiore della televisione.

A tutto ciò si sommava una naturale diffidenza verso il cinema, dovuta al persistere di una determinata estetica d’ispirazione crociana, strutturalmente poco incline ad accogliere prodotti ibridi come il cinema che ha una natura in parte artistica e in parte tecnica. Il rifiuto di parlare seriamente di cinema che si era ormai diffuso anche negli ambienti intellettuali più aperti all’innovazione, graverà poi sul mondo accademico e più in generale nei diversi gradi e livelli delle strutture predisposte alla formazione.

L’inversione di tendenza dopo tale prolungata fase di ostracismo nei confronti del cinema si registra, insomma, in tempi relativamente recenti quando le potenzialità del cinema sono state pienamente accolte, valorizzate e addirittura promosse ad ingrediente essenziale del processo formativo.

Fino a poco tempo fa l’utilizzo di materiale filmato a scuola, ad esempio, era contemplato sotto la generica voce di strumenti didattici audiovisivi come se il contenuto formativo di tali strumenti fosse di rango inferiore rispetto al libro e il film recasse chiaramente un’intrinseca traccia di prodotto da intrattenimento tale da renderlo poco funzionale alle esigenze di un insegnamento rigorosamente conforme a criteri quali il rigore e la serietà. 

Totalmente diversa rispetto allo scenario italiano è la ricerca teorica sul cinema in area francese la cui genealogia trova il suo punto di massimo splendore in “quell’autentico monumento teorico” (Curi, 2016, p.181) rappresentato dal dittico di Gilles Deleuze sul cinema che è sicuramente un testo rivoluzionario ma estremamente difficile da comprendere come del resto Deleuze, ancora considerato dalla maggior parte degli accademici, un pensatore poco “praticato”.

Chiara Bellucci, Dottoranda in Scienze umanistiche, Filosofia Teoretica, presso l’Università Guglielmo Marconi

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Chiara Bellucci

Humanities – Divulgazione digitale nasce da un’idea di Chiara Bellucci, Dottorato di ricerca in Scienze Umanistiche con valutazione finale: ottimo. Completano il profilo professionale i 24 CFU richiesti per l’insegnamento di cui 12 crediti formativi conseguiti presso l’Università Telematica Internazionale Uninettuno: – Psicotecnologie: 6 crediti (Votazione 30 ) – Metodi della ricerca sulla comunicazione 6 crediti (Votazione: 30 e Lode)

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