L’Amazzonia nel 2023

Sette motivi per essere felici per l’Amazzonia nel 2023 e tre per essere preoccupati

La sconfitta elettorale di Jair Bolsonaro per opera di Lula è una buona notizia per la più grande foresta pluviale del mondo. Ma la situazione rimane pericolosa.

Per chiunque abbia a cuore la foresta pluviale amazzonica, ci sarà un motivo in più per celebrare il conto alla rovescia del nuovo anno. In Brasile il 31 dicembre perché il primo rintocco della mezzanotte segnerà l’ultimo momento al potere di Jair Bolsonaro.

La sconfitta dell’ex militare di estrema destra, che ha scatenato un’ondata di incendi boschivi con lo scopo di deforestare con conseguente avvelenamento dei fiumi durante i suoi quattro anni in carica, è stata senza dubbio la migliore notizia ambientale del mondo nel 2022.

Ci sono sette motivi per essere ottimisti per l’Amazzonia nel 2023 e tre promemoria del perché questa non è una scusa per nessuno per abbassare la guardia.

1) Fare peggio di Bolsonaro è impossibile.

Bolsonaro è stato una vera e propria sciagura ambientale per tutto il pianeta. L’ormai ex presidente lascia una situazione disastrosa. I dati dell’agenzia spaziale brasiliana confermano che nessun altro come lui ha diretto un così forte aumento della deforestazione – 59,5% in un solo mandato presidenziale – da quando sono iniziate le registrazioni dei satelliti nel 1988.
Non scordiamo che Bolsonaro ha anche permesso e supervisionato l’attività di estrazione clandestina dell’oro. Migliaia di minatori illegali lavoravano nelle terre degli Yanomami, Munduruku, Kayapo e altri popoli indigeni. Queste attività clandestine hanno portato a violenze, malattie, paesaggi devastati e contaminazione da mercurio dei più grandi corsi d’acqua dell’Amazzonia.

Come sappiamo I suoi ministri hanno distrutto le agenzie governative responsabili della protezione della foresta, delle riserve naturali e dei territori indigeni.

Grazie a lui i crimini ambientali hanno goduto di un’impunità mai registrata prima: le multe ambientali sono diminuite del 38%.

Il primo lavoro del nuovo governo sarà quello di ricomporre i pezzi rotti delle istituzioni ambientaliste frantumate da Bolsonaro. Insomma, fare peggio di lui è impossibile.

2) Marina Silva è tornata

Marina Silva è stata senza dubbio la ministra dell’ambiente più efficace del mondo durante la prima amministrazione Lula dal 2003 al 2006.

In qualità di ex raccoglitrice di gomma e attivista sindacale, ha trovato esattamente il giusto equilibrio tra il sostegno ai mezzi di sussistenza e la protezione della natura. Ha introdotto politiche che hanno portato a una riduzione dell’80% della deforestazione in Amazzonia, si è opposta alle agrotossine e ai biocarburanti e ha cercato di bloccare strade, dighe e altri progetti infrastrutturali che minacciavano importanti aree naturali. Si era fatta potenti nemici nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura.

Lula in quel periodo, dopo potenti pressioni, ha sostenere loro invece che lei, provocandone le dimissioni. Tuttavia è lei la favorita per diventare il prossimo ministro dell’Ambiente. Marina Silva è il candidato con il più forte profilo internazionale, scegliendo un altro ministro il governo perderebbe di credibilità sin da subito.

L'Amazzonia nel 2023

3) Lula ora è più consapevole

O così suggeriscono i suoi discorsi pubblici. Dopo l’annuncio dei risultati elettorali, Lula ha usato il suo discorso di vittoria per sottolineare la necessità di lottare per l’ambiente, i diritti degli indigeni e la deforestazione zero entro il 2030.

Questo è stato un grande passo avanti rispetto al suo precedente impegno di fermare solo la deforestazione illegale. Per il suo primo viaggio all’estero come presidente eletto, ha partecipato al vertice sul clima Cop27 in Egitto.

Silva afferma di aver accettato di ricongiungersi a lui perché Lula ora si rende conto della gravità della crisi climatica e che i vecchi modelli di sviluppo nazionale non sono più sostenibili. Lo ha convinto che gli obiettivi di deforestazione zero devono applicarsi non solo all’Amazzonia, ma anche ad altri biomi importanti a livello globale come le zone umide del Pantanal e la savana del Cerrado.

4) Un ministero dell’ambiente con più soldi e potere

Il nuovo governo ha previsto un aumento al budget di 536 milioni di reais (quasi 97 milioni di euro).

Il denaro verrebbe utilizzato per operazioni sul campo contro minatori e taglialegna illegali, unità antincendio e una ripresa degli incentivi bolsa verde (sovvenzione verde) per i piccoli proprietari per mantenere foreste e fiumi. Inoltre, il ministero dell’Ambiente riprenderà il controllo dei corsi d’acqua e dei servizi forestali, che sono stati ceduti al ministero dell’Agricoltura e all’agenzia per lo sviluppo sotto Bolsonaro.

Per finanziare i progetti di riforestazione, il governo reindirizzerebbe le sanzioni ambientali secondo un sistema che si è rivelato efficace durante l’amministrazione di Michel Temer, che è stato presidente tra il 2016 e il 2018.

Il ministero prevede inoltre un maggiore coordinamento con i governi regionali: un importante passaggio burocratico che aiuterebbe le autorità federali a mantenere attivo un controllo che troppo spesso le autorità locali non hanno voluto esercitare. La richiesta più ardua, però, è quella di 2.000 dipendenti in più, indispensabili per avviare più indagini e mettere in campo gli agenti. Ma nessun budget è stato ancora stanziato per questo.

5) Aumento delle sanzioni

La nuova amministrazione dovrà inviare un segnale forte e tempestivo per ribadire che gli anni di impunità sono finiti per gli accaparratori di terre. Questo dovrebbe avvenire sotto forma di un embargo di massa di migliaia di aziende e proprietari terrieri coinvolti nella deforestazione illegale.

Silva ha dimostrato l’efficacia di quest’approccio l’ultima volta che è stata ministro dell’ambiente rintracciando le società che finanziano i furti di terra amazzonica e punendoli con embarghi commerciali, ritiro del credito, lista nera e multe.

Queste misure punitive sono molto più facili ora perché il monitoraggio satellitare ad alta tecnologia da parte di gruppi come MapBiomas può dire rapidamente e con precisione dove il terreno viene ripulito e chi è il proprietario del terreno.

Non è più necessario mandare in esplorazione l’esercito. Gli avvisi di embargo possono essere inviati automaticamente come fossero delle multe per eccesso di velocità. La polizia federale avrà anche il compito di indagare sulle società di comodo in modo che i veri investitori – spesso dentisti, grafici e venditori di automobili nel sud del Brasile – vengano catturati e puniti. Contrariamente al mito spacciato da Bolsonaro, la stragrande maggioranza della deforestazione può essere fatta risalire a una piccola e ricca élite di persone. In alcusi casi potrebbe anche essere possibile il reato di Ecocidio.

6) La polizia e l’esercito scacceranno (alcuni) invasori

Ci saranno, probabilmente, dei blitz “mediatici” già nelle prime settimane o mesi del nuovo governo.

Sarà una grande operazione o una serie di operazioni contro i campi minerari illegali all’interno del territorio indigeno Yanomami, Munduruku o Kayapo.

Aspettatevi immagini hollywoodiane di agenti di protezione forestale che arrivano su elicotteri militari, radunano criminali e poi bruciano tutte le attrezzature rinvenute. Ancora una volta, si tratterà principalmente di inviare segnali.

Una vera soluzione richiederà molto più tempo e sarà molto più complessa perché i campi minerari illegali sono sparsi in tutta l’Amazzonia, spesso cooptano gli indigeni e lasceranno migliaia di persone povere e non addestrate senza lavoro e bisognose di trasferimento e sostegno statale per iniziare vite diverse. Tutto questo segnalerà che lo Stato è tornato.

L’Amazzonia nel 2023 sarà più tutelata di prima grazie alla creazione di un ministero indigeno, che sarà guidato da Sônia Guajajara.

7) Il resto del mondo ha iniziato a farsi avanti

Il destino della foresta pluviale non si decide solo in Amazzonia, ma nei mercati d’oltremare che acquistano carne bovina, legno, soia e minerali.

Quindi un’altra buona notizia nel 2022 è stata la decisione dell’Unione Europea di adottare nuovi regolamenti sul commercio senza deforestazione. Le nuove regole impongono severi requisiti di tracciabilità sui prodotti forestali e bloccheranno quelli che provengono da aree di deforestazione o di degrado insostenibile per l’ambiente.

Si tratta di un grande passo avanti rispetto all’approccio precedente, che si basava su azioni volontarie, e si spera che gli altri due principali “clienti” dell’Amazzonia, Cina e Stati Uniti, adottino misure simili.

Le aziende brasiliane di carne bovina e di soia avrebbero quindi un forte incentivo ad aumentare la produttività riabilitando i terreni degradati piuttosto che abbattendo le foreste.

Aggiungete a questo il nuovo accordo globale sulla biodiversità appena concordato a Montreal, che promette 30 miliardi di dollari per garantire che il 30% della natura sia protetto entro il 2030, e sembra probabile che l’Amazzonia riceverà più sostegno dall’esterno.

Ancora più importante è che gli attivisti all’estero continuino a fare pressione sul Brasile affinché mantenga elevati standard ambientali. Questo aiuterà Lula nelle prossime battaglie contro la lobby agricola e i costruttori di dighe.

L’Amazzonia nel 2023. Tre motivi per essere preoccupati

È probabile che tutto ciò si tradurrà in un calo sostanziale della deforestazione in Amazzonia il prossimo anno, anche se non comparirà completamente nei risultati annuali fino al 2024. Tuttavia, ciò non è garantito e la situazione rimane pericolosa.

1) Divisioni pericolose

Le divisioni all’interno del Brasile rendono tutto più difficile e pericoloso. La vittoria elettorale di Lula di soli 1,8 punti percentuali mostra la spaccatura nell’opinione pubblica nazionale, e al Congresso i bolsonaristi hanno ottenuto riusltati importanti. Far passare budget e leggi sarà difficile senza scendere a compromessi con la potente casta ruralista di politici sostenuti dall’agrobusiness, alcuni dei quali hanno sostenuto Lula e si aspetteranno favori in cambio.

La destra, nel frattempo, continuerà a spingere le leggi esistenti che mirano a legittimare i precedenti accaparramenti di terre, indebolire le licenze ambientali e consentire l’estrazione mineraria nelle terre indigene. L’opposizione più feroce si trova nelle città amazzoniche sull’arco della deforestazione, dove taglialegna e allevatori hanno bloccato le strade.

A Roraima, dove ha avuto luogo la brutale invasione della terra yanomami da parte di minatori illegali, la maggior parte della popolazione locale dipende direttamente o indirettamente dall’oro e si oppone alle mosse federali per restituire il territorio ai suoi proprietari indigeni. Ci sarà violenza. Ci saranno proteste. Potrebbero esserci anche morti. Si spera che ci siano anche supporto e alternative per coloro che sono costretti a trasferirsi.

2) I mercati

L’Amazzonia non sarà mai al sicuro finché gli alberi valgono più da morti che da vivi.

È ancora così. I mercati delle materie prime attribuiscono un valore molto maggiore ai prodotti forestali, come la carne bovina, l’oro, il legname, la soia e ai minerali, che non alla foresta stessa. Ci sono stati sforzi per cambiare questa situazione attraverso crediti di carbonio e pagamenti per i servizi ecosistemici che riconoscono e valutano il ruolo della foresta nell’assorbire CO2, pompare acqua attraverso i cieli e fornire un habitat per la biodiversità.

Subito dopo che Lula avrà preso il potere, la Norvegia e la Germania riprenderanno a incanalare centinaia di milioni di euro attraverso il Fondo Amazzonia, che può aiutare a pagare per una maggiore protezione delle foreste, ma le nazioni più ricche sono riluttanti a pagare per qualcosa che hanno dato per scontato per secoli.

Il rubinetto dei fondi internazionali deve aprirsi di più, altrimenti i vecchi incentivi capitalistici estrattivi spingeranno le persone verso il fuoco piuttosto che verso la conservazione di un ecosistema essenziale a livello globale.

3) Il tempo sta finendo

Anche sotto Lula, il Brasile – come quasi tutti gli altri paesi del mondo – non agisce con sufficiente urgenza. Gli scienziati avvertono che l’Amazzonia è vicina a un punto critico, dopodiché la foresta pluviale umida e ricca di biodiversità non sarà in grado di riprendersi e si degraderà in una savana secca. Si dice che questo succederà quando la deforestazione sarà compresa tra il 20 e il 25%.

L’area distrutta ora è del 17% con un altro 17% fortemente degradato, quindi il punto di non ritorno è vicino. In alcune zone è già arrivato: la siccità si sta allungando, gli alberi sono più vulnerabili al fuoco e quindi la foresta emette più carbonio di quanto ne assorba, trasformandola da amica del clima in nemica.

Dato questo peggioramento della calamità, la crisi amazzonica è molto più critica di quando Lula era al potere l’ultima volta. Tuttavia, la maggior parte del lavoro svolto dal suo team di transizione si è concentrato sulla ricostruzione della capacità persa sotto Bolsonaro piuttosto che sull’aggiunta di nuove misure che tengano conto dell’aumento del pericolo.

Ci sono passi più ambiziosi che potrebbero essere promossi dal Brasile, come un importante programma di riforestazione e una moratoria sulla carne bovina proveniente da terreni deforestati. Ma la vera urgenza deve venire dall’esterno, ed essere unita ai finanziamenti. In caso contrario, Lula rallenterà semplicemente l’arrivo del collasso amazzonico, piuttosto che impedirlo.

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Flavia Morghe

Classe 1995. Acquario. Laureata in Scienze ambientali alla Sapienza di Roma. Tesi "Classificazione delle tecnologie pulite e applicazione nell'industria metalmeccanica" Ambientalista "pragmatica". Rifiuto isterie e fanatismi. Clean Earth is happy Earth! Giornalista pubblicista e attivista. Scrivo di ambiente, nuove tecnologie, impatti ambientali e qualche volta, purtroppo, anche cronache di disastri ambientali

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