Intervista a Mauro De Candia

Uno dei talenti più interessanti del panorama letterario italiano. Nelle librerie con “Sundara”.

Caro Mauro, siamo molto contenti di averti come ospite su Cultura & Società per parlare del tuo ultimo lavoro. Ti andrebbe di rompere il ghiaccio e presentarti con poche parole ai nostri lettori?

Nella vita di tutti i giorni sono insegnante di Lettere e di sostegno: amo fare entrambe le cose. Sono anche appassionato di musica.

Insegnante di Lettere. Quanto influisce la tua professione nel tuo modo di scrivere?

Sembrerà strano: poco o niente, direi. I miei riferimenti e le mie sperimentazioni letterarie non sono aderenti ai miei studi ufficiali e a ciò che insegno ai ragazzi. Per spiegarmi meglio, il mio background ha riferimenti abbastanza recenti (diciamo gli ultimi cento anni) e gli autori italiani, a sorpresa, non sono tra i miei preferiti. Ne consegue che se proprio vogliamo cercare qualche influenza per la mia scrittura che derivi dal mio lavoro, queste influenze non sono altro che immagini, tratte dalla vita vissuta che assorbo e restituisco tra i banchi.

In tutte le ultime interviste abbiamo chiesto agli autori di raccontarci la loro “pandemia”. Come hai vissuto il lockdown, cosa ne pensi di quello che ci è successo e cosa ci aspetterà domani?

Sono una persona che ama stare da sola, è una condizione che mi dà gioia e serenità: sin da bambino adoravo starmene per conto mio magari a leggere qualche libro interessante. Con ciò non voglio dire che non ami la compagnia, ma solo a piccole dosi. Ne consegue che per me il lockdown non è stato vissuto negativamente, anzi mi ha offerto nuovi stimoli e nuove sensazioni per portare a compimento il mio ultimo lavoro. Nel lockdown duro dello scorso anno ero molto impegnato con la didattica a distanza e con le ultime fasi della scrittura di “Sundara”. Quello dell’insegnante – anche in didattica a distanza – è un lavoro basato sull’interazione, il dialogo, lo scambio, quindi non è mai mancata la mia bella dose di conversazione con colleghi, alunni, amici, conoscenti o altre persone con cui ho organizzato videoconferenze. A mio parere dobbiamo semplicemente abituarci a nuove modalità, che magari in futuro saranno meno stringenti delle attuali, ma continueremo a portare le mascherine per un bel pezzo. Mi dispiace comunque per diversi settori fortemente penalizzati, come quello musicale: come ho già detto, sono un appassionato di musica e comprendo quanto stia costando il lockdown al settore, soprattutto a musicisti coerenti che hanno scelto sempre la “via tortuosa e senza compromessi”, e che quindi non hanno accumulato grandi guadagni, e sperano che la situazione prima o poi si sblocchi. A loro e a tutti coloro che si trovano in difficoltà, auguro di tornare presto a pieno regime, magari con modalità rinnovate.

Qual è lo stato di salute della poesia oggi?

Intervista a Mauro De Candia

Farei dei distinguo: di quale poesia stiamo parlando? Internet e i servizi di “print on demand” (o ancora peggio, le case editrici a pagamento) hanno da una parte conferito libertà di pubblicazione a chiunque, ma dall’altra hanno visibilmente annacquato la qualità media della poesia, quantomeno nella sua percezione massiva. Se invece ci riferiamo a realtà più artistiche, ci sono case editrici che selezionano e pubblicano senza chiedere contributi agli autori. Belle realtà come Edizioni Ensemble, Marco Saya edizioni, Nottetempo, Transeuropa e altre. Nei cataloghi di queste case editrici è possibile trovare ottima poesia, e persino prestigiose traduzioni di grandi poeti contemporanei stranieri o ristampe di grandi autori del passato. Quindi, la risposta più breve è: credo che la poesia, quella vera e artisticamente impegnata, sia vivissima, seppure la maggioranza dei poeti non sia in grado di “vendersi” bene dal punto di vista mediatico, quando la Storia di arte e letteratura insegna che se non si vuole godere solo di elogi post-mortem o di una ristrettissima cerchia di propri pari, il pubblico ha bisogno anche di una componente trascinatrice, estetica, sociale (o social). Ricordiamo che Rupi Kaur è diventata famosa e vende milioni di copie anche grazie a un post su Instagram col suo pigiama macchiato di sangue mestruale. Senza l’impatto della sua immagine probabilmente sarebbe rimasta nel sottobosco. La poesia c’è, è viva, ma deve imparare ad uscire dai circoli chiusi e autoreferenziali, deve imparare a incuriosire un pubblico più vasto, rivestendosi di attualità, e i poeti devono lottare di più per comparire un po’ ovunque, mettendoci la faccia.

Scuola, librai, media, editori, poeti: di chi è la responsabilità se la poesia si legge così poco?

In parte della scuola e di programmi che propongono brani con tematiche poco aderenti al nostro tempo, anche se ultimamente ho notato una certa apertura, come per l’inserimento di alcuni testi cantautorali nelle più recenti antologie delle scuole medie. Come ho detto poco sopra, i poeti sono (quelli veri) spesso persone di grande cultura ma sovente poco abili nel comunicare con modalità diverse da quelle testuali. Mancano a mio parere le iconografie (quelle che hanno determinato in passato il successo degli artisti – in senso lato – più celebri), le capacità di interazione verbale e non verbale, i personaggi. Abbiamo in poesia tanti autori ma pochi personaggi: ironia della sorte, i pochi personaggi non sono grandi poeti (o non lo sono affatto, spacciandosi per tali). Il vuoto quindi viene riempito non da chi è più bravo, ma da chi è più abile nel comunicare con tutta una serie di segnali visivi e sociali. Basterebbe anche maggiore attenzione per la veste grafica di un libro: a tal proposito ho visto libri dai contenuti elevati, ma con una copertina scarna e “scolastica” – quasi da dispensa universitaria – che non invoglia affatto non dico all’acquisto ma anche alla sola lettura. Personalmente per questo mio ciclo poetico (che dovrebbe concludersi con un terzo libro) ho deciso di affidare le copertine dei miei libri a un illustratore (Domingo Montedoro) che sta dando coerenza e serialità al progetto anche dal punto di vista grafico (le due copertine sono una il prosieguo dell’altra). Lo fece Lucio Battisti, con le copertine dei suoi cinque “dischi bianchi”: e parliamo di un artista purissimo che decise di sparire fisicamente dalle scene, eppure curava comunque l’aspetto grafico del suo progetto.

In parole povere, qual è secondo te la differenza principale tra uno scrittore e un poeta?

Dal mio punto di vista un poeta è comunque uno scrittore, ovvero citando la Treccani, uno scrittore è:“ Chi si dedica all’attività letteraria; chi compone e scrive opere con intento artistico”. Il poeta rientra in questa definizione, quindi crea come un narratore o un romanziere, ma con un grado di sensibilità e un linguaggio diverso. Nel mio caso la componente narrativa e descrittiva è molto forte. Leggevo di recente una raccolta su Adelphi di Zbigniew Herbert (grande poeta polacco) e alcune sue poesie erano senza “a capo”, compilate come fosse prosa. Tuttavia la poesia offre sterminata libertà: sia metrica che tematica, senza dover per forza sottostare alle dittature di una trama. Ricordiamo che poesia erano anche opere come la “Divina Commedia” o la “Gerusalemme Liberata”, quindi anche il distinguo della lunghezza non risulta determinante. Il vero ingrediente che ogni poeta dovrebbe avere è una maggiore sensibilità e maggiore apertura (tematica, formale) nel trattare determinati contenuti, senza l’impegno di dover sottometterli a una trama. Un autore può essere una cosa e l’altra, poeta e narratore (e anche in Italia abbiamo avuto diversi esempi di narratori che erano anche poeti: Pasolini, Pavese…)

C’è un ricordo del tuo percorso che ti sta più a cuore degli altri, un aneddoto o una particolare sensazione provata che ti piacerebbe condividere con noi?

Quando ho iniziato a ricevere messaggi privati con alcune foto del mio libro (il primo, “Le stanze dentro”) scattate da gente che lo aveva acquistato e ci teneva a farmelo sapere. Sconosciuti e sconosciute che mi avevano conosciuto e seguito “da lontano” e che ci tenevano a comunicare con me. Sono grato a queste persone: per quelli che sono i limiti del mio tempo resto in contatto con loro.

Secondo te esiste un segreto per conquistare i lettori?

Il giusto mix di qualità di scrittura, particolarità, sensibilità e carisma. Il mix vincente di ogni vincente, in qualsiasi campo.

Torniamo un po’ indietro. “Le stanze dentro” il tuo esordio. Sei contento di com’è andata, dei premi ricevuti e soprattutto cosa ti ha lasciato scriverlo?

Sono molto contento dei risultati ottenuti, tra l’altro il libro è ancora in gara in altri due premi letterari (i cui risultati arriveranno entro qualche mese: speriamo bene). Quello era un libro scritto come catarsi da una situazione personale (la perdita improvvisa di mio padre) e che aveva risvegliato in me quella vena autoriale che da diversi anni avevo messo da parte. Un libro (buona parte d’esso) nato gradualmente su un blog, col favore dei lettori (e, in divenire, parzialmente sottoposto al loro giudizio), e al contempo una scommessa. Mi sono detto “Se va bene, continuo”. Oggettivamente però, anche se sono trascorsi solo due anni e mezzo dalla stesura finale, oggi lo scriverei in maniera un po’ diversa. Resterà sempre, comunque, il mio primo lavoro, quello che mi ha consentito di iniziare a scrivere, di attirare l’attenzione di una casa editrice non a pagamento e di ottenere alcuni riconoscimenti letterari.

Finalmente siamo arrivati a parlare di “Sundara”. Parlacene nel modo che preferisci, abbiamo tutto il tempo.

“Sundara” esiste quando ancora era un libro vuoto. Dopo aver pubblicato “Le stanze dentro” mi sono detto: ”Il prossimo libro deve chiamarsi Sundara”. Una parola che trovo abbia un bel suono e che è presa in prestito dal sanscrito. Il libro è estremamente denso, elaborato con lo sforzo programmatico di farne qualcosa di elevato ma al contempo moderatamente accessibile. Ho letto molta poesia russa e polacca negli ultimi due anni, e questo ha certamente impresso una peculiarità di colore tendente al vivido, al surreale, nella mia scrittura. Credo che sia un libro dai toni accesi e lirici al contempo: ci si trovano dentro limoni, mascara, sangue, pesci, cocaina, girasoli, tori, alieni, gabbiani, mercatini, manicomi ma anche il Giappone, la Russia, la Francia, la Spagna, oltre a numerosi neologismi che ho coniato per l’occasione. Va accolto come una galleria variopinta, offerta con un linguaggio che plasma le immagini assieme alla lingua.

Qual è, secondo te, il genere di pubblico che potrebbe appassionarsi di più alle tue poesie?

Un pubblico curioso e affamato di sensazioni nuove. La mia è una poesia molto “visiva”, un po’ come trasporre in versi un dipinto surrealista. Racconto il nostro mondo attraverso immagini che non appartengono a questo mondo (animali ibridi, parti del corpo che vivono una vita propria, oggetti inanimati che parlano e così via). Cerco di trattare numerosi temi avvalendomi di invenzioni varie che appartengono a un mondo fantastico. Mi sento molto est-europeo (e infatti i miei modelli poetici sono Czeslaw Milosz, Nicolaij Zabolotskij, Wislawa Szymborska, Vladimir Majakovskij etc.), ma al contempo metto in risalto una componente di micro-narrazione che fa sì che in sole due pagine vi sia comunque racchiusa una storia. Sono storie strane, le mie, favole per adulti colti. E, ovviamente, sono anche poesie.

Chi sono, tra i grandi della letteratura mondiale presente e passata, i tuoi maestri, quelli che con le loro opere più hanno contribuito alla tua formazione, o semplicemente quelli che ammiri di più per tecnica e creatività?

Li ho in parte citati prima: Czeslaw Milosz (Premio Nobel 1980: per me il più grande poeta di ogni tempo); Wislawa Szymborska (altro Premio Nobel); Zbigniew Herbert; Iosif Brodskij (ancora un Nobel); Nicolaj Zabolotskij; Adam Zagajewskij. Tra gli italiani, Pasolini e Pavese li trovo più interessanti di altri nomi.

Ultima domanda prima di salutarti e ringraziarti. Ti chiediamo una cosa semplicissima, consiglia ai nostri lettori un libro che non sia il tuo, uno soltanto.

Nicolaij Zabolotskij – Colonne di Piombo (Editori Riuniti, 1962). Non è in assoluto l’opera poetica più bella che abbia letto, ma certamente tra le più belle. Consiglio tuttavia questa perché, a differenza di altre raccolte di altri autori, è fuori stampa e fuori catalogo da mezzo secolo, quindi se trovate una copia nell’usato online o nei mercatini, fatela vostra senza indugio. Vi si aprirà un mondo fantastico che mi ha certamente influenzato.

LE NOSTRE INTERVISTE

PUOI ACQUISTARE “SUNDARA” ANCHE DA QUI

IL SITO WEB DELL’AUTORE

Condividi

Redazione

La nostra redazione comprende vari articolisti che imparerete a conoscere di volta in volta leggendo post specifici. Il lavoro di "squadra" rimane identificato come redazione

Potrebbero interessarti anche...