Lucio Domizio Enobarbo, in arte Nerone

Tiranno sanguinario e dispotico ma anche mecenate, amante dell’arte e visionario.

Nato ad Anzio nel 37 D.C con il nome di Lucio Domizio Enobarbo (Lucius Domitius Ahenobarbus) divenuto poi Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico. Quinto imperatore di Roma, conosciuto semplicemente come Nerone. Precisiamo subito che l’immagine del crudele tiranno che è arrivata fino a noi è stata in parte rivista e corretta  da molti storici moderni. In molti sostengono che non fosse pazzo o più crudele di molti altri imperatori con i quali la storia è stata più clemente nel giudicarne le gesta. Nei suoi ultimi anni di vita il disturbo paranoide di cui soffriva divenne più invalidante. Nerone si rinchiuse in se stesso sia  dal punto di vista psicologico sia fisicamente all’interno dei suoi palazzi, lasciando che a governare fosse, de facto, il prefetto Tigellino, lui sì crudele e sanguinario.

Una vita sentimentale agitata…

Nerone è famoso anche per il suo rapporto con le donne. In effetti la sua vita sentimentale non ha niente da invidiare alle trame delle più intrigate soap opera. Dopo il primo matrimonio con la cugina di secondo grado Claudia Ottavia, sposò l’amante, la famosissima Poppea (prima però fece esiliare e uccidere Ottavia). Non sappiamo molto della terza moglie, Statilia Messalina, pare fosse una donna dotata di fine intelletto, Nerone fu il suo quinto marito in trent’anni. Frammentate sono anche le notizie riguardo al fatto che Nerone sposò due uomini. Il primo, Sporo, era un liberto eunuco, scelto dall’imperatore per la somiglianza con Poppea  e fatto passare in seguito per la reincarnazione della stessa; il secondo, Pitagora, era un giovane molto bello sposato dall’imperatore nel 64.

Lucio Domizio Enobarbo, in arte Nerone

Nerone fu un grande appassionato di sport, lo praticava anche, solo che aveva il vizio di far giustiziare i suoi avversari. Grande amante dei giochi olimpici ellenici, nel 67 Nerone prese parte a diverse gare a Olympia, nelle quali trionfò (in qualche caso, barando). Vinse nella gara delle quadrighe, in quella delle quadrighe dei puledri, nel concorso degli araldi, nel tiro a dieci puledri e nelle prove per citaredi (cioè gli aedi che cantavano suonando la cetra, strumento dell’epoca simile a una piccola arpa) e per tragedi. Si racconta, però, che durante una delle corse di cavalli nelle quali trionfò gli avversari si fossero fermati ad aspettare l’imperatore, caduto dal cocchio, preoccupati delle conseguenze (mortali) di una sua sconfitta.

I primi giochi romani

Amava insomma così tanto le Olimpiadi che ne creò una copia per Roma, i cosiddetti Neronia. Si disputavano ogni cinque anni ed erano divisi in tre specialità: arte, ginnastica ed equitazione.

Se è discusso a lungo anche riguardo la famosa miopia di Nerone, rappresentata persino  nel colossal Quo Vadis. Secondo alcuni storici non è mai esistita e l’equivoco dall’aver tradotto male  una frase di Plinio il Vecchio: lo scrittore latino infatti non avrebbe scritto che Nerone si serviva di uno smeraldo per vedere meglio i combattimenti dei gladiatori, ma che lo usava per riparare la vista dal sole, usando quindi la preziosa pietra come un paio di nostri occhiali da sole.

Nerone è anche il protagonista di una bizzarra e antica leggenda romana stando alla quale l’imperatore fu ossessionato dall’idea di avere un figlio, voleva rimanere incinto  e minacciò di morte tutti i medici che non fossero riusciti a soddisfare il suo desiderio. Impauriti, i dottori si inventarono un stratagemma: gli fecero bere una miscela di sostanze soporifere insieme a un girino.

L’idea era che l’imperatore, grazie a una purga, partorisse successivamente una rana. Quando questo accadde il sovrano per la gioia organizzo una processione solenne durante la quale la rana venne posta su un carro d’oro e d’argento e fatta girare per la città, scortata da una nutrice e quindici nobili. Quando raggiunsero il Tevere, però, la rana saltò via, scomparendo per sempre nelle acque del fiume. Latitans rana, rana che scappa: da questo episodio deriverebbe il nome Laterano, dove adesso sorge la basilica di San Giovanni. Leggende a parte, fonti storiche indicano una spiegazione più credibile del toponimo, ovvero il nome dell’originario proprietario delle terre, Plauzio Laterano, a cui vennero confiscate con l’accusa di aver partecipato alla congiura di Pisone, il complotto ordito nel 65 ai danni dell’imperatore.

Lucio Domizio Enobarbo, in arte Nerone

Naturalmente quando parliamo di Nerone la prima cosa che ci viene  in mente è il grande incendio di Roma. Per tutti è stato lui a dar fuoco alla città. Ma anche su questo punto non c’è assolutamente una versione certa e i dubbi non sono solo quelli degli storici moderni, già dopo appena cinquant’anni il disastro fu lo storico Tacito a non accettare la versione ufficiale “Sequitur clades, forte an dolo principis incertum (nam utrumque auctores prodidere), sed omnibus, quae huic urbi per violentiam ignium acciderunt, gravior atque atrocior.”  (In seguito si verificò – per caso o per la perfida volontà del principe, gli autori infatti hanno trasmesso l’una e l’altra versione – il più grave e terribile disastro fra tutti quelli che colpirono questa città per la violenza del fuoco)

Tacito fu il primo a ribellarsi a quella “dittatura del pensiero unico” che voleva Nerone unico responsabile. La storia ha poi accertato che gran parte delle fonti dell’epoca arrivavano da molti “intellettuali” ostili all’imperatore. Intellettuali che facevano parte di un’aristocrazia senatoria contraria alla sua politica. Nerone potrebbe essere stato vittima di quelle che noi oggi chiamiamo Fake News. Bufale che tramandate a lungo nel tempo sono diventate credenze popolari ( o populiste) e quindi verità assolute.

Storici moderni asseriscono persino che Nerone reagì tempestivamente all’incendio e limitò i danni organizzando con efficienza gli interventi. L’immagine che per quasi duemila anni lo ha accompagnato però è quella di lui che suona, compiaciuto e folle, mentre guarda Roma bruciare. Qualche anno dopo, ormai  abbandonato anche dai pretoriani e dall’esercito, venne deposto dal Senato (che diede al generale Galba i poteri di princeps) e, dopo un primo tentativo di fuga, alla fine, vistosi perduto, si tolse la vita nei pressi di Roma, nella villa di uno dei suoi liberti.  

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Redazione

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