Scemi di guerra

Scemi di guerra .Chi erano veramente e cosa c’è dietro l’espressione usata ancora oggi

Erano l’eredità della Grande Guerra: uomini tornati dal fronte sotto shock, con gravi disturbi mentali. Ce n’era uno quasi in ogni famiglia.

Durante e dopo la Prima guerra mondiale furono migliaia i soldati ricoverati per disturbi mentali: negli ospedali si trovavano reduci che camminavano come automi, con i muscoli irrigiditi, estraniati e muti.

Le persone li chiamavano ingiustamente “scemi di guerra”. Ma chi erano davvero?

Sulle loro cartelle cliniche c’era scritto di “ipersensibilità al rumore”, di “uomini inespressivi, di “tremori irrefrenabili, che volgono intorno a sé lo sguardo come uccelli chiusi in gabbia”, che “mangiano quello che capita, cenere, immondizia, terra” o che “camminano con le mani penzoloni e piangono in silenzio”

SHELL SHOCK

Tali quadri clinici suscitarono fin da subito l’interesse degli psichiatri, specialisti allora emergenti in Italia.

Su Lancet, una delle riviste mediche più autorevoli in questo campo, nel 1915 lo psicologo Charles Myers usò per la prima volta l’espressione shell shock, “shock da bombardamento, o come lo chiameremmo oggi, disturbo da stress post-traumatico.

Myers inizialmente ipotizzò che le lesioni cerebrali fossero provocate dal frastuono dei bombardamenti oppure dall’avvelenamento da monossido di carbonio. Ben presto però fu chiaro che alla base di questi disturbi c’era anche qualcos’altro, dal momento che sintomi uguali erano ben visibili anche tra i soldati che non si trovavano in prossimità di bombardamenti.

Il neurologo francese Joseph Babinski nel 1917 attribuì i sintomi a fenomeni di isteria, disturbo che si riteneva diffuso solo tra le donne (isteros significa utero, in greco). Suggerì quindi di curare i soldati come allora si trattava l’isteria femminile: con l’ipnosi. I trattamenti talvolta funzionavano, nel senso che i sintomi si riducevano. Si diffuse perciò l’idea sbagliata che questi quadri clinici fossero frutto di simulazioni, messe in atto per non combattere ed essere congedati.

Ma non solo…questa teoria dell’isteria diede il via libera all’accusa di “femminilizzazione” o di “omosessualità latente”, e  quindi a una serie di trattamenti di tipo fortemente punitivo, come le aggressioni verbali e le “faradizzazioni”, forti scosse di corrente elettrica alla laringe (in caso di mutismo) o alle gambe (in caso di immobilità).

In Italia

Tale disciplina disumana fu messa in atto soprattutto in Italia, dove persistevano atteggiamenti ispirati alle idee di Cesare Lombroso, che classificavano il malato come un essere inferiore, un soggetto debole e primitivo. In una Nazione in cui la leva era obbligatoria, non si voleva attribuire alla guerra la causa del disagio psichico: meglio sostenere che il conflitto contribuiva a rivelare devianze o degenerazioni in individui già predisposti. Insomma erano malati già da prima.

Anche per questo in Italia quella dei traumi psichici conseguenti alla Grande guerra fu una pagina presto chiusa e rimossa. E se circa 40.000 uomini con disturbi mentali finirono rinchiusi nei manicomi statali, una quantità ben più numerosa fece ritorno a casa e in quelle condizioni fu accolta dalle loro famiglie.

E fu proprio all’interno delle famiglie che, anche per prendere le distanze dal carico emotivo di quegli sguardi assenti e per poter ricominciare a vivere dopo il trauma collettivo della Guerra, che la gente prese a chiamare quei giovani uomini con un termine feroce e ingiusto: “scemi di guerra.

Per cancellare il ricordo della guerra insomma iniziarono a disprezzarne i testimoni.

SCEMI DI COVID

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Redazione

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