Screenology o schermologia

Screenology o schermologia. McLuhan predisse che il prossimo medium comprenderà la televisione in quanto contenuto non in quanto ambiente, anticipando il concetto di schermologia.

Scienza non ancora ufficialmente riconosciuta in termini accademici che studia la relazione che si instaura tra soggetto che osserva un oggetto all’interno di uno schermo in accezione di effetti psicologici che l’interazione origina sulla base di meccanismi che scaturiscono dall’interazione.

Screenology o schermologia

Lev Manovich scrisse “The language of cinema” che studia per l’appunto il linguaggio di questo mezzo di comunicazione e dal quale ricaviamo la definizione di schermo come mondo tridimensionale separato, chiuso in una cornice e situato nel nostro spazio quotidiano. E’ naturalmente una definizione molto ampia ma è tuttavia estremamente accurata. Lo schermo è una finestra su uno spazio altro ben distinto dallo spazio e dunque dalla porzione di mondo o realtà che occupiamo.

La fotografia

La fotografia è uno schermo, la pagina è uno schermo e lo schermo televisivo o del cinema è massimamente schermo, considerando come la tecnologia attuale consente di avere differenti tipi di schermi se decidiamo di acquistare una nuova televisione.

Detta così è facile definire cosa sia uno schermo, ma spesso non consideriamo il fatto che il nostro primo schermo è lo specchio. Jacques Lacan afferma che il bambino allo specchio, per quanto sia prematuro parlare di senso di identità, tuttavia capisce di essere altro dal mondo attraverso il movimento. Dunque lo specchio cattura una porzione di realtà per quanto tra schermo classico ed elettronico vi sia differenza. Lo schermo classico è statico, mentre quello elettronico è dinamico.

Lo schermo elettronico è tridimensionale e virtualmente percorribile se si pensa a cellulari e computer. Con il click del mouse o con il dito mi muovo all’interno di un determinato ambiente che può essere un’immagine durante la navigazione in internet a fini di ricerca ad esempio, oppure può essere un movimento dovuto ad operazioni di filing sul mio hard disk che mi portano ad aprire finestre o percorrere determinate alberature di file e folder. Soprattutto lo schermo dinamico ci consente ad esempio di rifare qualsiasi cosa che stiamo guardando (remake) e non è semplicemente la semplice riproduzione di un video (replay).

Tanti piccoli schermi

Per non parlare poi della possibilità di aprire più finestre nel computer e avere tanti piccoli schermi nello schermo. Il primo sistema multi-finestra incredibile a dirsi è il teatro. Il teatro consta di finestre multiple. Nel medioevo intorno alle chiese dell’Europa occidentale si riuniva molta gente che organizzava grandi rappresentazioni teatrali, mostrando vari palcoscenici in un unico ambiente e la gente che assisteva veniva guidata all’interno di questi spazi dal magister Ludi, una figura a metà tra la maschera del teatro moderno e una guida. Tante rappresentazioni vuol dire tanti palcoscenici, ovvero tante finestre. Poi con la diffusione del romanzo e della lettura dalle tante finestre siamo passati alla mono-finestra della pagina del romanzo. Quindi le finestre dei computer moderni hanno in parte recuperato qualcosa di rappresentazione medievale, gestire diverse simulazioni contemporaneamente. 

Altra differenza sostanziale sta nell’immagine moderna rispetto alla tradizionale che è statica. L’immagine moderna è dinamica, compie qualcosa. Durante il Rinascimento e dopo di esso lo spazio segue regole dettate dalla pittura che pone intervalli tra le cose per cui lo spazio tra le persone è vuoto. Lo spazio moderno non è vuoto, è flessibile e interattivo.

Interazione

Noi interagiamo con i nostri schermi che non sono quadri. La digitalizzazione è la responsabile dell’interazione. Tutte le nostre sensazioni, azioni e conoscenze vengono ridotte al minimo comune denominatore di 0/1.  Il concetto di iper-superficie sviluppato dalla filosofia contemporanea vede nel rapporto 0/1 il minimo comune denominatore in cui tutti i sensi convergono, una sorta di senso comune. Roland Barthes il primo a concepire lo schermo come scena ci ha consentito di distinguere arti diottriche da altre che non fanno capo al concetto di schermo.

Ciò ci riporta anche a quanto detto a proposito del legame scrittura e spazio, dal momento che c’è un notevole impatto della forma dello schermo e il sistema utilizzato dalle persone, almeno fino all’avvento della televisione. In Cina, ad esempio la scrittura verticale si è sempre rispecchiata nella pittura e nell’architettura tendenti alla verticalità. Con l’avvento della televisione che ovviamente è giunta dall’esterno, i Cinesi hanno cominciato a scrivere addirittura orizzontalmente adottando lo standard video 3/4 tipica dello schermo televisivo e filmico del mondo occidentale.

Riepiloghiamo quanto detto fin’ora:

  • Schermo classico: statico, bidimensionale, frontale (es lettore e libro)
  • Schermo dinamico: tridimensionale, immersivo.

La Luce

Altra caratteristica, come nota McLuhan è in concetto di luce contro luce attraverso. Se ci troviamo di fronte ad uno schermo cinematografico, l’idea è che la luce viene da dietro di noi, colpisce lo schermo e arriva a noi, cosa che lascia una certa distanza critica rispetto all’immagine reale. L’esperienza concreta in realtà è un’altra cosa: la luce giunge attraverso lo schermo, ci colpisce e l’immagine viene dipinta su di noi in tempo reale, da cui il nostro coinvolgimento che è massimo nel caso del total surround che ci coinvolge a 360 gradi, il che non è poco considerando che gli uomini come gli animali sono frontali.

L’immagine che si vede in realtà virtuale finisce per coincidere con l’immagine reale. Tale mondo è stato creato da Charles Davis. Si accede indossando una maschera che ci impedisce di vedere i contorni di quel mondo. Si indossa dunque la maschera e si accede nei vari ambienti. Vediamo i vari tipi di schermi a cui siamo maggiormente esposti nella vita quotidiana: televisione, computer e cellulare. Il tempo passato davanti a questi dispositivi, per quanto di dati siano diversi da paese a paese, è in aumento, anzi, per essere più preciso aumenta il tempo trascorso davanti a computer e cellulari rispetto a quello trascorso davanti alla televisione, mezzi caratterizzati da una maggiore interattività. 

Screenology o schermologia

Ne siamo sempre più dipendenti e si verifica una migrazione della mente dalla testa allo schermo in cui spazio mentale e spazio virtuale fisico coincidono. Lo schermo è fisico certo ma contiene il grosso dei nostri contenuti mentali e molto software virtuale e dunque si innesca un gioco di combinazioni.

Tre aspetti della nostra vita cognitiva vanno a focalizzarsi sullo schermo che controlliamo tramite la tastiera, il mouse o il telecomando. Naturalmente quando parliamo di comando dobbiamo distinguere computer e televisione. Sulla televisione abbiamo un controllo limitato. Il contenuto ci viene offerto e se non ci piace con il telecomando cambiamo canale o spegniamo la tv. Con le web-cam e le piccole telecamere i contenuti possiamo al giorno d’oggi farceli da soli e magari poi caricarli su youtube e farci la nostra personale TV. Condividiamo la nostra TV con altri e scegliamo quali contenuti visionare, magari a quale canale youtube iscriverci. Ognuno di noi dà senso al proprio schermo. 

Il touch screen

Ad un certo punto, sempre in epoca recente siamo, Jeff Hann crea il touch-screen, momento fondamentale di trasformazione della nostra relazione con l’informazione, non solo sullo schermo ma dell’informazione fuori dal nostro corpo e dalla nostra mente.  La mente umana è estremamente flessibile e ha una grande capacità di dare forma al reale e il touch screen è un invito a dare forma alla realtà e a riorganizzarla. 

In realtà l’aspirazione alla realtà virtuale è già presente in antichi dipinti. Prendiamo per un attimo in esame il trompe-l’œil (letteralmente “inganno dell’occhio”), genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore l’illusione di stare guardando oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. Se ne hanno esempi già nell’antica Grecia, nella società romana e nelle epoche successive, fino all’arte contemporanea. Naturalmente tale pittura utilizza effetti ottici che fungono da stimolo alla terza dimensione ma non è ancora la realtà virtuale. 

Schermologia e realtà virtuale

Predecessori di realtà virtuale e total surround ne abbiamo avuti. Il Napoleon di Abel Gance fu un film proiettato su tre schermi, l’uno accanto all’altro, ma non è ancora total surround. Nell’ottocento esistevano i ciclo-rama, luoghi speciali dove i pittori dipingevano una scena in total surround che anticipa la filosofia della realtà virtuale. La moderna connessione diretta mente-macchina è stata in molti casi studiata dalla ricerca scientifica e medica. Tali connessioni dirette che supportate da una specifica tecnologia si stanno sperimentando consentono di tradurre il pensiero in azione. Se si pensa al fatto che vi sono purtroppo persone colpite da paralisi che non hanno più possibilità o limitata possibilità di azione, questo tipo di tecnologie potrebbe davvero facilitare un loro reinserimento. 

Possibili implicazioni pedagogiche? Naturalmente ve ne sono da cui l’importanza di educare i ragazzi all’utilizzo appropriato dei vari schermi e sviluppare le relative abilità on line. Altro esempio di uso brillante dello schermo è il Tunnel sotto l’Altantico, un mondo virtuale che collega Montreal e Parigi dove la gente sceltosi un avatar può interagire con altre persone, progetto che risente molto del noto film Avatar. 

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Redazione

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