The Irishman, Netflix: la nostra recensione

The Irishman: la nostra recensione. È arrivato su Netflix l’ultimo film di Martin Scorsese, dopo averlo visto vi raccontiamo cosa ne pensiamo.

Come sempre non vogliamo “spoilerare” nulla a tutti quelli che ancora non hanno trovato tre ore e mezza di tempo per vedere il film, ci limiteremo a raccontare semplicemente la trama e poi concluderemo con il nostro giudizio. Mettiamo però in chiaro una cosa sin da subito: il film non ci è piaciuto per niente, ciò non significa che sia un brutto film.

La storia  inizia dentro una casa di riposo dove Frank Sheeran detto l’irlandese, ormai molto anziano e ridotto su una sedia a rotelle, inizia a raccontarci la sua vita da sicario della mafia.

Tutto comincia nella Pennsylvania degli anni ’50 dove Frank, veterano della seconda guerra mondiale, guida camion e trasporta carne per conto di una ditta. Durante un viaggio, il suo camion ha un problema meccanico, e viene aiutato da un attempato signore di origine italiane, che cordialmente lo aiuta, senza rivelargli però il suo nome.

Quando Frank decide di arrotondare in modo poco pulito il suo stipendio, è costretto a rivolgersi all’avvocato William Bufalino, che riesce a farlo scagionare. Dopo il processo i due vanno a cena per festeggiare e qui incontrano il cugino di William, Russell Bufalino(Joe Pesci). Frank riconosce il gentile signore che mesi prima lo aveva aiutato con il suo camion in panne, ed è proprio in quella cena la sua vita prende una piega inaspettata.

Da quel momento, Frank, con la protezione di Russel Bufalino, diventa un esecutore della mafia. La sua ascesa nel crimine organizzato di Chicago lo porta ad incontrare una figura chiave della vita americana di quel momento, James ‘Jimmy’ Hoffa (Al Pacino). Sindacalista dalla moralità complessa, ancora oggi al centro di uno dei misteri della società americana.

Da questo momento in poi il film diventa uno sguardo sull’America di quegli anni. Un racconto fatto da chi c’era. I Kennedy, la baia di porci, le esecuzioni mafiose, gli intrecci politici, i prestiti dei sindacati alle “Famiglie”

Scorsese vuota il sacco e racconta tutto. Gli occhi di Frank Sheeran diventano la memoria storica di una nazione, i suoi peccati, gli scheletri dentro l’armadio.

I protagonisti ci lasciano mano  a mano durante il film, nelle opere di Scorsese non sono mai mancati i morti, sopravvive solo Frank ma anche lui si prepara alla morte scegliendosi la bara e il loculo dove vuole essere sepolto.

Cosa non ci è piaciuto? 

Innanzitutto il film è a nostro avviso troppo lungo. Tre ore e ventinove minuti sono oggettivamente troppe.

Il film è incentrato sulla storia di Hoffa e se non si conosce nulla sull’argomento diventa davvero faticoso seguire il film, o meglio, lo si segue ma si percepisce ben poco da quello che si sta vedendo, non se ne capisce l’importanza storica. Hoffa, come si dice giustamente nel film, negli anni 50 era conosciuto come Elvis, negli anni 60 come i Beatles, ma adesso nessuno sa più chi è stato, cosa ha fatto e quanto fosse potente in quegli anni. L’ultima volta che il cinema si è occupato di lui è stato nel 1992 con Jack Nicholson protagonista di “Hoffa – santo o mafioso” 

È una figura che crea imbarazzo all’America per molti motivi ed è per questo forse che da quelle parti hanno scelto di non parlarne più. 

Naturalmente resta un film di Scorsese e quindi ha innumerevoli motivi per essere guardato. L’opera presenta tutte le caratteristiche narrative classiche del regista, e questo è già di per se una garanzia di qualità.

Inoltre sono presenti mostri sacri del Cinema, attori che hanno fatto la storia di Hollywood ma non per modo di dire, loro la storia l’hanno fatta veramente. In un epoca, la nostra, dove il successo è effimero e dura spesso una stagione o due, ci commuove ritrovare, oltre a De Niro e Al Pacino, anche Joe Pesci e Harwey Keitel. 

Tutti ottantenni o giù di lì ed è per questo che il film, anche se nuovo, appare vecchio, ma è quel “vecchio” che ci ricorda l’importanza delle cose fatte bene, della qualità, della serietà. L’importanza del lavoro e della professionalità.  

Probabilmente la scelta di far apparire in una delle ultimissime scene una delle star di Orange Is The New Black nel ruolo dell’infermiera di Frank non è una scelta casuale, non vi diciamo di chi si tratta per non rovinarvi la sorpresa. La sequenza dura meno di un minuto e quelli sono ruoli che si danno alle comparse, Scorsese invece ha voluto un volto super noto a tutti, specialmente agli abbonati di Netflix, ha voluto un’attrice che nella moderna era dei social ha milioni di followers.  Ecco, forse in quella sfumatura si nasconde la malinconia del regista per quest’opera. Scorsese sa di aver raccontato una storia ormai dimenticata da tutti e ce lo fa dire da un’icona delle moderne serie TV. 

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Redazione

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