Il nostro Incontro con Vanzuk

ArtSharing Roma presenta la mostra dell’artista. “Morfologie Meccaniche. Assemblage e collage”

Vanzuk, con le sue “macchine” che strizzano un occhio al Dadaismo e uno ad Escher, riapre la stagione degli eventi in presenza da ArtSharing. Un’esposizione che lascerà a bocca aperta i visitatori per la particolarità delle opere esposte: macchine inutili e per questo (citando Munari) quanto mai utili, perché liberano la nostra fantasia dall’ossessione dell’utilità, del fare, del giungere, del produrre. Che siano assemblage o collage, sanno sempre stupirci con piccoli dettagli di poesia e un chiaro divertimento, senza rinunciare mai al giusto equilibrio visivo ottenuto in maniere sempre sorprendenti, a volte barocche, altre semplicissime.

Cara Elena, siamo molto felici di averti come ospite sul nostro portale Cultura & Società e avere l’occasione di conoscerti. Per rompere il ghiaccio ti andrebbe di presentarti con poche parole ai nostri lettori?

Buongiorno cari lettori, mi chiamo Elena, ma oggi sono Vanzuk. Gli amici più cari mi chiamano Van oppure Esp, acronimo del mio nome e cognome. Ho iniziato alla fine del 2005 a fare collage e a disegnare pensando che fosse un momento, una cosa passeggera, solo che non ho ancora smesso.

Un’ingegnera prestata all’arte, quanto ti riconosci in questa definizione?

Cerco sempre di bilanciare le due parti di me che coesistono da sempre. Non è proprio semplice in quanto le due nature vanno spesso in direzioni opposte! I numeri mi danno sicurezza, quando qualcosa non torna so che in essi ritrovo il baricentro. L’arte mi serve per liberare la fantasia. Ho molte idee, forse troppe che si accavallano una sopra l’altra. Un’artista ingegnere o un ingegnere artista, come definizioni vanno bene entrambe.

Cos’è per te fare Arte oggi?

Io ci vedo un mezzo fantastico per comunicare. Comunicare qualunque cosa, uno stato d’animo, un desiderio di astrazione, un pensiero politico, comunicare agli altri qualcosa.

Che impressione cerchi di suscitare in chi osserva le tue opere?

Le opere nascono innanzitutto come esigenza personale. Non penso mai al pubblico quando creo qualcosa. Penso a buttare fuori quello che ho dentro. Desiderio di evasione, di amore, di risate, tristezza, rabbia. Le mie opere sono molto diverse tra loro, a volte inverosimili, a volte grottesche, a volte dolcissime. Dipende dal mio stato d’animo, da come mi sento. Con le mie opere descrivo sensazioni comuni a molte persone, spero che il pubblico possa immedesimarsi e trarne beneficio, come succede per me.

Da dove trai l’ispirazione per i tuoi lavori, qual è il processo che porta alla loro creazione? L’ispirazione viene dal mondo che mi circonda, dai miei sogni, da cose che leggo o da immagini che vedo. Tempo fa, ad esempio, percorrendo la strada da casa all’ufficio Roma era tappezzata con la scritta “Non di qui Rita”; nei posti più strani si vedeva quella scritta, anche in galleria. Allora ho immaginato una storia d’amore in cui il fidanzato indicava a Rita la strada. Rita probabilmente sarà stata neopatentata!

L’idea passa dalla testa alla matita con un semplice schizzo. Dopo parte la ricerca dei materiali che andranno a comporre l’opera fino alla realizzazione finale. A volte invece sono i materiali ad indicarmi la strada; accostamenti di carte e di colori che mi dicono: “fai questo!”

Hai mai sognato un’opera prima di realizzarla?

Si, molte volte mi capita di vedere in sogno delle immagini che poi cerco di ricordare fermandole in uno schizzo. In questi particolari casi i sogni non sono storie da Wonder Woman, ma semplici fotogrammi. Le opere che ne scaturiscono sono riconoscibili, assumono forme sinuose molto fluide.
Questo ne è un esempio

Sentiero

Quanto sono importanti oggi i social network per un artista?

Sono importanti per far conoscere il proprio lavoro, specie nel caso in cui (come nel caso mio) non si abbia molto tempo da passare in luoghi in cui sia possibile mostrare o raccontare dal vivo quello che si fa.

In tutte le ultime interviste abbiamo chiesto ai nostri ospiti di raccontarci la loro “pandemia”. Come hai vissuto il lockdown, cosa ne pensi di quello che ci è successo e cosa ci aspetterà domani.

Diciamo che all’inizio quando si parlava di questo virus, mi sembrava una cosa lontanissima. Poi piano piano abbiamo preso tutti coscienza della cosa, rimanendo quasi sbigottiti di fronte a questa catastrofe; se si pensa che siamo in grado di mandare i robottini su Marte e poi ci ritroviamo a combattere con fatica un virus minuscolo, sembra che qualcosa non quadri.
Dovendo cogliere un lato positivo, perché sempre bisogna trovarlo per non soccombere, ho avuto modo di avere molto più tempo a disposizione per me e l’ho impiegato per fare l’inventario di buona parte dei miei lavori artistici.

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Redazione

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